domenica 21 gennaio 2018

Tòpos della navigazione




“Tòpos” della navigazione


    Un grande studioso, Ernst Robert Curtius ha analizzato la tradizione del “tòpos” della metafora nautica, notandone la presenza in Virgilio, Cicerone, Quintiliano, Orazio, Dante e molti altri scrittori, in cui appunto appare l’immagine della nave che intraprende il “viaggio” testuale.
La navigazione è sempre stata la metafora della volontà di conoscenza: basta pensare ad Ulisse che intraprese il folle viaggio oltre le Colonne di Ercole “per seguir virtute e canoscenza”. Il tòpos letterario della nave in balìa delle onde intesa in senso allegorico è sopravvissuto dalla Grecia antica fino ai nostri giorni. 
      Questo tema viene infatti elaborato per la prima volta in Grecia quando si afferma un nuovo genere letterario che avrà molta fortuna nei secoli: la lirica. Ed è nella lirica ionico-attica che per la prima volta Archiloco presenta l’immagine della nave alla deriva, che cela il riferimento alla situazione politica contingente. Nonostante ciò è ad Alceo che viene attribuito il reale merito di avere affermato come tòpos letterario tale allegoria. L’antico poeta greco utilizza la metafora della tempesta per rappresentare la polis dilaniata dalle guerre civili,  la sommossa suscitata a Mitilene, sua città natale, e l’avvento della tirannide di Mirsilo. 
      In seguito questo tema arriva fino a Roma con Orazio, poeta latino posteriore ad Alceo. Orazio utilizza l’allegoria della nave con un doppio senso politico, in particolare con un carattere anti-augusteo. La nave in questo caso rappresenta la repubblica romana in un periodo di decadenza e la volontà di ripristinare le tradizioni e la cultura dell’antico mos maiorum.

Ma il cammino dell’allegoria non finisce qui: infatti viene trasportata nel ‘200, utilizzata dal più grande autore di tutti i tempi: Dante Alighieri.

       Egli riprende in queste due terzine iniziali la metafora nautica per accogliere il lettore nella seconda cantica “Il Purgatorio”.

“Per correr miglior acque alza le vele                  

ormai la navicella del mio ingegno,                   

che lascia dietro a sé mar sì crudele;                  

                                                                            

e canterò di quel secondo regno

dove l’umano spirito si purga

e di salire al ciel diventa degno”


        L’allegoria consiste nell’atto di alzare le vele ossia “accingersi a scrivere”, l’opera viene perciò paragonata ad un viaggio per mare. (Possiamo anche notare la presenza del tòpos della modestia. L’autore utilizza non a caso il termine navicella, ossia barchetta, per evidenziare la debolezza del suo ingegno di fronte ad un tema così grandioso.) 

         Inoltre nel VI canto del Purgatorio Dante si serve dell’allegoria della nave per indicare lo stato di abbandono dell’Italia e poi conclude con la visione di Firenze, dilaniata dalle lotte interne e incapace di darsi un governo stabile.
Ecco i versi significativi:

“Ahi serva l’Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiere in gran tempesta
non donna di provincie, ma bordello!”


         L’Italia è quindi definita senza pilota, in una tempesta di ambizioni, cupidigie, odi sfrenati e feroci. Non più quindi come in passato signora dei popoli (donna), ma nido di corruzione (bordello).
                                                                                                                           Beatrice

1 commento:

  1. Benvenuta Beatrice, finalmente è arrivato un approfondimento. Hai fatto una ricerca interessante, solo due osservazioni:
    1- dovresti citare la fonte (almeno titolo dell'opera di Curtius);
    2- il colore blu che va bene per variare il testo non risulta ben leggibile. A. G.

    RispondiElimina